Fin da quando ero ragazza avevo due certezze nella vita: la fotografia e la scrittura.
Hanno sempre fatto parte di me, poi la fotografia per un po’ di tempo l’ho quasi abbandonata, e ora, nella maniera più inaspettata, sono diventate entrambe il mio lavoro.
Si dice che se fai parte di quelle persone che sanno già da bambino quale sia il lavoro dei sogni, e poi lo fanno davvero, sei fortunato!
Io, nella mia di vita, ho cambiato strada e idee così tante volte che ad un certo punto mi sono sentita anche un po’ persa.
Sarà che sono del segno dei gemelli, è scritto nelle stelle questa continua ricerca di crescita e cambiamento.
E sarà che sono sempre stata quella brava ragazza, che seguiva le regole, che ha seguito la strada più giusta sino al lavoro perfetto, per poi accorgermi che quella strada non era la mia.
Tutto dipende da quando decidi di ascoltarti davvero.
I miei sogni da bambina erano quelli di diventare un avvocato (idee abbandonata molto in fretta), una psicologa (idea mai abbandonata ma non era il momento giusto), una giornalista (perché volevo raccontare).
Ecco questo più o meno è quello che faccio oggi: Raccontare.
Ma la vita ha voluto che ci arrivassi facendo un giro immenso per poi tornare sempre qui, ma a modo mio!
Come e cosa racconto
Racconto storie vere, quotidiane, senza nessuna patina o idea di perfezione.
Lo faccio con le mie famiglie (realizzando servizi fotografici documentari di famiglia, maternità, newborn e intimate wedding) e lo faccio con i viaggi, documentando ciò che i miei occhi vedono. Con la fotografia e la scrittura.
Lo stile documentario è quello che più mi rappresenta, che mi permette di raccontare. La vita, i viaggi, le persone, le famiglie, i legami, il quotidiano, così come sono.
Viaggiando e fotografando ho piano piano trovato ciò che mi rappresenta, il mio modo di vedere il mondo, la bellezza che si nasconde dietro le piccole cose, dietro quelle semplici che capita di dare per scontate, e poi invece è tutto li.
Perché ho smesso di dire “sorridi” durante i miei servizi fotografici?
Tempo fa guardavo le foto della mia infanzia. Sai quale mi ha colpito di più? Non quella perfetta del Natale in cui eravamo tutti in posa. Ma quella un po’ sgranata dove io ero seduta per terra, sopra una coperta, mentre mia mamma teneva un pallone nero e blu fermo sulla mia testa. Intorno a noi si vedevano altre persone, sedute sui sassi, bicchieri, borse frigo e riviste in giro.
Era una pasquetta, i miei genitori mi raccontavano che festeggiavano la pasquetta così, accampati al fiume. Era un ricordo vero della mia infanzia.
Quella foto “imperfetta” racchiude più vita di cento pose studiate.
È per questo che durante i miei servizi non chiedo mai di sorridere. Aspetto che il sorriso arrivi da solo. O qualsiasi altra emozione. E quando arriva, è QUELLO il momento da catturare.
Le famiglie che lavorano con me all’inizio sono spesso nervose. “E se viene male?” mi chiedono. Ma “male” per chi? Per gli standard di Instagram o per il cuore di chi guarderà quelle foto tra vent’anni?
La prossima volta che guardi le tue foto di famiglia, chiediti: stanno raccontando chi siete veramente?
Perché in Italia facciamo fatica ad aprire le porte?
C’è una fatica silenziosa, in Italia, nel lasciarsi vedere davvero. Non solo per strada, ma anche (e soprattutto) dentro casa.
Aprire le porte, mostrare ciò che siamo nella nostra quotidianità, senza filtri, è qualcosa che spesso spaventa.
È come se ci fosse una voce sottile che sussurra: “Aspetta a far entrare qualcuno, sistema prima, togli il disordine, nascondi le imperfezioni.”
La verità è che questa paura di “non essere abbastanza” è radicata. Culturale, quasi.
E così, fotografare la vita com’è, nei suoi gesti più semplici e reali, diventa difficile.
Molti pensano ancora che una foto debba essere bella, non vera.
Eppure, altrove, in tanti paesi del nord Europa, negli Stati Uniti, in Australia, le persone aprono le porte di casa con naturalezza.
Non si scusano se ci sono calzini in giro, non si imbarazzano per i giochi sparsi sul tappeto.
Capiscono che proprio lì, in quella verità disordinata, vive la bellezza più potente.
Perché una casa racconta.
Racconta chi sei, chi amate, com’è il vostro tempo insieme. E la fotografia documentaria non giudica: accoglie, custodisce, celebra.
Il mio sogno è che anche qui, piano piano, si impari a lasciare la porta socchiusa.
Perché c’è così tanta poesia nella vostra vita quotidiana… anche (soprattutto) quando non è perfetta.
Con affetto,
Sabrina
P.S. Se questa riflessione ti ha colpito, rispondi a questa email. Mi piace sapere cosa pensano le persone che mi seguono.